Beni comuni: appunti su Stefano Rodotà

Incontri sui beni comuni, Pisa 15 marzo 2011

L’Orestea di Eschilo si conclude con l’istituzione di un tribunale, l’Areopago, che, giudicando da terzo, spezza la catena della vendetta del sangue. Il poeta tragico  attinge la sua storia da un bene comune, il patrimonio dei miti tramandati dai poeti, per rappresentare l’invenzione di un bene altrettanto comune: la comunità politica che, con i suoi diritti di cittadinanza, permettere di risolvere i conflitti senza abbandonarli alla sequenza indefinita di violenze a cui è condannato chi si fa giustizia da sé.

Nella storia di Oreste l’invenzione di un bene comune risolve una tragedia degli anticommons:  quando è la giustizia è soltanto privata, tutti sono costretti a vendicarsi e a vivere nella paura della ritorsione che potrebbe essere loro inflitta anche dalle persone più vicine. La città e il tribunale, che rendono pubblico e organizzato quanto era privato e scoordinato, trasformano le Erinni terrificanti della vendetta  in divinità benevole della giustizia.

La stessa Orestea è un bene comune, che mi aiuta a rendere narrativamente chiara la tesi giuridica di Rodotà: i beni comuni sono il prodotto di diritti fondamentali. Il tribunale accessibile a tutti, che decide secondo leggi pubbliche coercitive, è il bene comune che mette in atto il diritto di chiunque a essere giudicato da un giudice terzo imparziale, anziché da un vendicatore che si fa giudice in causa propria. E, in generale, la presenza di un bene comune ad accesso universale indica che è in atto un processo di formazione di valori universali.

L’apparizione e la sparizione dei beni comuni non dipendono dalla natura degli oggetti che sono definiti come tali, ma dal loro nesso con dei valori universali e dalla capacità di chi li vuole comuni di imporli e difenderli in questa veste. Quando lo stato sudafricano decise di limitare l’efficacia dei brevetti sui farmaci contro l’Aids ricorrendo a importazioni parallele e licenze obbligatorie, lo fece perché il diritto alla salute dei suoi cittadini poteva essere effettivo soltanto rendendo di nuovo comune ciò che gli accordi TRIPS avevano  privatizzato. In generale i diritti all’accesso sono veri diritti – e non chiavi che aprono stanze vuote –  solo se sono connessi a dei beni comuni.

L’Europa giusnaturalista e illuminista ha combattuto per rendere diritti e soggetti astratti, perché doveva liberarsi dall’Ancien Régime e dai suoi privilegi di ceto. In una situazione simile era vitale riuscire ad assegnare diritti e doveri senza guardare in faccia nessuno. I beni comuni, legati a bisogni come dissetarsi, conoscere, curarsi, respirare aria pulita hanno però il pregio di renderli di nuovo concreti.

I giuristi possono escogitare molteplici strumenti per proteggere i beni comuni – per esempio la titolarità universale all’azione giudiziaria qualora sia in gioco la tutela di uno di essi – ma a tutto questo è preliminare la presenza di una sensibilità culturale che li sappia riconoscere come tali.  Di qualcosa che una volta si chiamava, appunto, senso comune.

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