Archive for ‘economia’

19 giugno, 2014

Tomáš Sedláček: perché l’economia politica ci rende poveri

Tomáš Sedláček è stato consigliere economico di Vaclav Hàvel. Sono finalmente riuscita a recensire il suo libro eterodosso,  Economics of Good and Evil, qui.  Peccato che sia ad accesso chiuso…

19 ottobre, 2011

Telecomunisti!

Il Manifesto telecomunista di Dmytri Kleiner è un – interessante – tentativo di applicare il socialismo immateriale dell’età della rete al mondo materiale che tormenta tutti noi. Si può scaricare, in inglese, da qui. Qui c’è una mia presentazione critica che cerca di liberarlo dal suo linguaggio vagamente ottocentesco.

Circola pure una traduzione italiana che non posso linkare perché il mio codice d’onore mi proibisce di far pubblicità a un testo che, pur contenendo una critica feroce al copyright, esce – se non m’inganno – ad accesso chiuso. Google, in ogni caso, è suo amico.

19 agosto, 2011

L’anno sabbatico

In tempi di canicola e di apocalisse economica(*), non essendo economista, parlo di economia nei suoi termini originari, che dalle nostre parti – l’aveva capito Max Weber – sono teologici.

Alla fine di ogni settennio concederai la remissione. Questa è la regola della remissione: ogni creditore rimetterà ciò che verrà prestato al suo prossimo; non costringerà al pagamento né il suo prossimo né il suo fratello poiché è stata proclamata remissione in onore del Signore (Deuteronomio, 15:1-2 )

Questa era una norma della shemittà, l’anno sabbatico degli ebrei, oggi noto per lo più solo come privilegio dei professori universitari. La shemittà accompagnava infatti alla remissione del debito il riposo dei campi e degli esseri umani.  

Un’economia che applicasse la shemittà al debito avrebbe un sistema finanziario rachitico.  Prestiti, mutui, investimenti e loro derivati non potrebbero andar oltre un orizzonte di sette anni.  I beni fisici, non a scadenza, sarebbero molto più importanti.  L’economista Il teologo ortodosso osserverà che la shemittà appartiene a un mondo agrario precapitalistico e destinato a rimanere tale: un’economia che non può fare scommesse sui guadagni futuri, con un orizzonte limitato a sette anni, creerebbe innovazione e sviluppo a piccolissimi passi.

Però non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo continuare a vivere per massimizzare il profitto solo perché alcuni tardo-calvinisti dell’età moderna credevano che la ricchezza fosse segno d’elezione. Secondo un’eresia che troverebbe d’accordo Atene e Gerusalemme, possiamo cominciare a porci il problema del senso della vita solo se disponiamo di tempo libero – libero dal lavoro necessario per vivere e anche dalla coazione a ripetere azioni che hanno significato solo alla luce delle nostre superstizioni economiche teologiche.

Proviamo a immaginare la nostra apocalisse economica con la shemittà in vigore. Proviamo a immaginare un sistema post-capitalistico che si costruisce non sul ritorno al passato, ma sul suo superamento.

La crisi del 2007 è stata causata dalla fondazione di un torreggiante edificio finanziario sui due piedi fragilissimi di una bolla immobiliare e di mutui di qualità scadente eufemisticamente detti subprime. Un’intera società ha perso la percezione del rischio e ha creduto di poter vivere senza lavorare, ipotecandosi la casa.

Con la shemittà sarebbe stato socialmente ovvio che quanto è costruito sul debito in sette anni sparisce. E sarebbe stato dolorosamente chiaro che quando si trasferiscono industrie da un paese democratico a un paese autoritario che tratta i suoi lavoratori come schiavi e si lasciano alle democrazie soltanto i debiti, si sta trasferendo potere economico, politico e infine militare a quel paese e – soprattutto – a quel sistema, in cambio di nulla.

Gli Islandesi, che l’hanno capito, si sono inventati una shemittà unilaterale e una nuova costituzione, che comprende il diritto all’informazione non solo dal lato attivo, ma anche da quello passivo (articolo 15).

Gli ortodossi, a ragione, obietteranno che tornare ai pesci, alle pecore e alla metallurgia dopo aver volato altissimi sulle ali del credito non è né indolore, né semplice – anche perché pecore, pesci e metalli non si possono moltiplicare all’infinito. Ma fare – volontariamente – i conti con i limiti fisici potrebbe essere utile a noi, al pianeta, e perfino all’economia, che una volta era una scienza triste il cui compito non era promettere paradisi, bensì mostrare vincoli.

E a lungo termine? A lungo termine, diceva un importante teologo del secolo scorso, saremo tutti morti.

(*) “Apocalisse” è usato in senso rigorosamente biblico.