Non era infrequente, appena qualche anno fa, sentire colleghi, anche giovani, porre questa domanda a chi proponeva loro di ospitare un loro testo su una rivista on-line. La questione, presa alla lettera, suona surreale: come può Puttino Pluteo, giovane studioso abituato a distribuire i suoi pensieri su altri fogli che non legge nessuno, chiedersi se un articolo su un sito che fa 300, 1000 o anche solo 25 accessi al giorno sia una “pubblicazione”? Ma a Puttino, naturalmente, non interessa che i suoi testi siano letti: interessa che “valgano per i concorsi”. E in questo caso una pubblicazione non era un testo reso pubblico, ma un testo depositato in prefettura, come stabilito da questa normativa del secolo scorso, abrogata nel 2004 da questa legge qui e dal suo successivo regolamento attuativo.
Questa disciplina invitava il ricercatore a parlare una specie di neolingua, per la quale è pubblicazione non ciò che viene reso pubblico, ma ciò che riceve un riconoscimento ufficiale da una qualche autorità. Che poi il testo venga reso pubblico è del tutto accidentale – come sa bene chi ha vinto concorsi grazie a opere che, non avendo mai visto la luce, potrebbe conoscere soltanto il prefetto se, in una notte insonne, vagasse per i sotterranei della sua prefettura.
Che occorra delimitare il numero e il tipo dei titoli da presentare a un concorso, si capisce. Puttino, altrimenti, presenterebbe pure le sue originalissime liste della spesa e l’elegante lettera anonima composta, con ritagli di giornale, allo scopo di denigrare un rivale accademico. Però questa necessità, assieme a cose come queste, ha sviluppato in lui una mentalità passiva e servile. Una mentalità che l’ha tenuto lontano da gesti semplici come farsi un sito personale, inventarsi una rivista on-line, aprire un blog, discutere in rete.
La pubblicazione ad accesso aperto potrebbe ridargli un po’ di indipendenza e di spirito d’avventura. Puttino potrebbe, per esempio, cominciare a capire che la ricerca e la valutazione della ricerca sono la stessa cosa: un bravo ricercatore, quando fa ricerca, deve scegliere che cosa, dell’esistente, è importante e che cosa no. Cioè fa un lavoro, spassionato, di valutazione.
Ricerca e valutazione si differenziano solo nei sistemi autoritari, nei quali si ritiene insufficiente, o pericoloso, il giudizio “orizzontale” delle comunità di conoscenza. Per questo, si dice, occorrono delle liste, di proscrizione oppure anche d’eccellenza.
E’ preoccupante – anche per il futuro della pubblicazione ad accesso aperto – che questa passione per le liste sia condivisa dalla sottosegretaria Magnolfi, che in questa intervista a “Punto informatico” dichiara:
Indubbiamente trovo corretto che questa iscrizione [al ROC, di cui qui] sia obbligatoria per quei siti che, sia in termini di struttura organizzativa, di funzione e di periodicità, sono assimilabili alle testate giornalistiche tradizionali. Mi sembra invece inopportuno che allo stesso obbligo siano sottoposti blog e siti personali.
Perché mi preoccupo? Perché, anche se adottiamo la sua interpretazione, tutto sommato moderata rispetto alla lettera del disegno di legge sull’editoria, questa ennesima lista, con i suoi aggravi burocratici, tenderebbe a imporre alla rete l’artificiosa distinzione fra pubblicazioni “vere” e discorsi da bar – liberi, vivaddio, ma certamente da non prendere così sul serio. Fare una nuova rivista ad accesso aperto diventerebbe meno semplice; e la creazione di spazi liberi di discussione e di ricerca non verrebbe riconosciuta come un nuovo, essenziale strumento per l’uso pubblico della ragione, ma rimarrebbe paragonabile – se va bene – all’apertura di un bar.
Puttino Pluteo sarebbe così portato a convincersi che, se consegna un suo articolo al sito ad accesso riservato dell’editore registrato Avidio Vespasiano, ha una “pubblicazione”, mentre se lo mette nell’archivio aperto istituzionale della sua università, accessibile a molti più lettori, e poi riceve una attestazione di qualità di un overlay journal – che può essere, per avventura, pure un blog – il suo testo “non conta nulla”. E perderebbe l’ultima occasione per uscire di minorità.