Ho partecipato a questa bellissima conferenza – la quinta nel programma di attuazione della dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura scientifica. I contributi, quasi tutti visibili on-line, sono stati tutti molto interessanti: per esempio il giurista e magistrato Giuseppe Corasaniti ha mostrato che – contrariamente a quanto si crede – la normativa internazionale ed europea vigente lascerebbe al legislatore italiano amplissimi spazi di libertà per costruire un diritto d’autore meno rigido – se solo ci fosse la volontà di agire nell’interesse dei cittadini e non in quello delle lobby.
La sessione Open Access in the Humanities and Social Sciences era presieduta da Jean Kempf, il quale ha ricordato che le cosiddette scienze umane sono molto indietro sulla via della pubblicazione ad accesso aperto per un diverso stile di ricerca: la stampa, specie per le fonti primarie, è ancora importante; non si avverte l’esigenza di diffondere rapidamente i risultati – e anzi sarebbe auspicabile una ancora maggior ponderazione -; le comunità di ricerca sono molto frammentate e suddivise per lingua e nazionalità; si ha ancora l’abitudine di lavorare individualmente e non in gruppi. E’, tuttavia, bizzarro che delle discipline che avrebbero – assai più della fisica delle alte energie – la potenzialità di parlare alla città, cioè di raggiungere un pubblico amplissimo e di trattare questioni interessanti per tutti, non si preoccupino di rendersi accessibili. Eppure – si può aggiungere – una simile questione interesserebbe assai di più agli umanisti che alla città. Se noi ci teniamo il bavaglio dell’accesso chiuso e ci rinserriamo nell’oligarchia accademica, per troppo umani timori, il vuoto che noi lasciamo verrà riempito – giustamente – da qualcun altro. E’ inutile storcere il naso: come è stato ripetuto più volte alla conferenza, chi non si rende pubblico in rete è condannato all’irrilevanza. Loriano Bonora, fisico della Sissa, ha detto che anche le scienze “dure”, negli anni ’70 del secolo scorso, erano affette da degenerazioni oligarchiche: sono state letteralmente salvate dalla rete – perché hanno saputo farsi salvare.
Secondo Frederick Friend, il modo di pubblicare degli umanisti si sta avvicinando lentamente a quello degli scienziati, sia per la pressione dovuta alla valutazione della ricerca, sia alla riduzione dei finanziamenti: si tende a pubblicare più articoli che monografie – cioè, in generale, a suddividere i propri testi in pezzetti più piccoli. Queste tendenze – perfino in un ambiente conservatore – possono favorire l’accesso aperto, per esempio rendendo facile la stampa selettiva di monografie depositate capitolo per capitolo negli archivi elettronici, sulla base delle loro statistiche di download; oppure mostrando immediatamente al contribuente che il denaro pubblico è ben speso.
Sigi Jottkandt ha presentato questa conferenza, nella quale spiega che le riviste on-line umanistiche sono solitamente di scarsa qualità informatica e di scarso prestigio, a causa di una resistenza ancora notevole nei confronti della rete e dei finanziamenti scarsi. Da qui nasce il progetto di una Open Humanities Press, con un comitato scientifico di tutto rispetto, allo scopo di indurre gli umanisti a superare la loro diffidenza.
Per Gary Hall, infine, il futuro vede qualcosa di più di un semplice trasferimento in rete delle riviste, delle monografie e di tutti i loro rituali. Il libro, che nel corso dell’età moderna aveva acquistato una forma stabile, sta diventando di nuovo instabile – così come sta avvenendo alla figura dell’autore – proprio per l’influenza della rete e delle sue diverse modalità di comunicazione. Le discipline umanistiche che ne diventassero consapevoli potrebbero fare molto per l’accesso aperto.
Al momento, la valutazione della ricerca lascia completamente fuori i grandi connettori e catalizzatori di comunità di conoscenza, il cui lavoro ora sarebbe apprezzabile proprio in virtù della rete, così che un qualsiasi studioso mediocre con la sua brava monografia potrebbe tranquillamente sconfiggere un Socrate. Ma nulla ci obbliga a tenere in vita i nostri pregiudizi.
… Bisogna dunque guardarsi bene dal giudicare le società nascenti con idee attinte da quelle che non sono più.
Charles Alexis De Tocqueville
berlin5