Archive for ‘berlin5’

10 ottobre, 2008

Agli antipodi

Traduco qui sotto la Dichiarazione di Brisbane sull’accesso aperto appena firmata da una sessantina di istituzioni di ricerca in Australia.

Preambolo:  I partecipanti riconoscono l’Accesso Aperto come una attività strategica da cui la ricerca dipenderà a livello internazionale, nazionale, universitario, di gruppo e individuale.

Strategie: Perciò i partecipanti  decidono quanto segue, come ricapitolazione delle strategie fondamentali che l’ Australia deve adottare:

1. Ogni cittadino deve avere un accesso libero e aperto alla ricerca, ai dati e alla conoscenza pubblicamente finanziata. [grassetto mio]

2. Ogni  università australiana deve aver accesso a un archivio digitale che raccolga, a questo scopo, i suoi risultati di ricerca.

3. Questo archivio deve contenere come minimo tutti i materiali  segnalati nell’Higher Education Research Data Collection (HERDC).

4. Il deposito dei materiali deve aver luogo al più presto possibile, e nel caso di articoli di ricerca editi  deve essere la versione finale dell’autore al momento dell’accettazione, in modo da massimizzare l’accesso aperto ad essi.

Per dirlo all’australiana, uno degli argomenti più forti a favore della pubblicazione ad accesso aperto è quello secondo cui chi finanzia la ricerca con le sue imposte ha ben diritto a ricevere qualcosa in cambio senza doverlo pagare di nuovo, perché si è messo in mezzo un editore commerciale.

Se le università italiane diventassero fondazioni finanziate privatamente, questo argomento cadrebbe d’incanto. Chi “mette i soldi” potrebbe trovare vantaggioso ottenere un lucro collaterale associandosi a un editore che preferisce l’accesso chiuso.  Come si potrebbe esigere quanto pretendiamo collettivamente da un sistema pubblico, nei confronti del quale siamo cittadini, da un privato di cui siamo soltanto clienti?

Il cittadino che vuole che l’università pubblica renda accessibili i suoi testi pretende quello che,  come contribuente, ha già collettivamente pagato  – anche quando, come singolo, non ha pagato  affatto. Il cliente di un ente privato, che è solo,  non  può chiedere  nulla più di quanto è in grado di pagare.

20 gennaio, 2008

Il sapere è pubblico in teoria, ma privato nella pratica

Ho scritto quello che penso di questo detto comune in questo articolo, che ho costruito sulla base del mio intervento a Berlin5.

Chi legge queste pagine ci troverà, di nuovo,  solo la connessione interna. Il blog, in fondo, è una macchina per l’anamnesis.

25 settembre, 2007

Berlin5: una cronaca più ampia

A proposito della conferenza padovana: su questo bel blog c’è una cronaca, in italiano, più ampia della mia – e più attenta al mondo scientifico. Estrapolo solo una citazione – giusto per far vedere che chi riflette sull’open access, scienziato o umanista che sia, segue una medesima direzione:

E-science is much more than open access”: data sharing, virtual labs, collaboratories, wikis, grid computing sono termini fondamentali per rendere conto del cambiamento di paradigma nel modo in cui si fa ricerca scientifica, prima ancora che nel modo in cui si pubblica (si vedano per es. i lavori di Barend Mons). [*]

Che cosa sta succedendo? Che, come già detto, chi lavora in rete fa ricerca in maniera molto più cooperativa e orizzontale – una maniera molto simile a quella delle scuole filosofiche dell’antichità. Della crisi della figura dell’autore e dei danni prodotti dall’estetica dell’originalità se ne stanno accorgendo pure gli umanisti.

Per non perderci fra liste d’eccellenza e rapporti personali, bisogna trovare un sistema che permetta a Socrate di vincere i concorsi. E’ nel nostro interesse. Non abbiamo bisogno di pozzi nei quali la scienza sprofonda, ma di insegnanti che sappiano farci voltare dalla parte giusta.

23 settembre, 2007

Berlin5: European Reference Index for the Humanities

Alla conferenza padovana, Rüdiger Klein ha presentato questo progetto (disponibile anche qui, sotto forma di abstract). L’idea è comporre una lista di riviste – sulla base di una valutazione della loro selettività, della loro popolarità e reputazione fra gli studiosi e della qualità dei contributi – le quali siano certificate come indicatrici di eccellenza nel settore delle scienze umane. Klein ha ammesso che questi criteri molto conservatori, ma che spera di potersi alla fine conciliare con i principi della pubblicazione ad accesso aperto.

Il rischio di questa intrapresa, che si modella con grandissimo ritardo sull’esperienza dei “core journals” della lista ISI è quello di riprodurre, anche nelle scienze umane, l’oligopolio che ha portato alla crisi dei prezzi dei periodici – contro la quale gli scienziati stanno reagendo. In più, ora avremmo la possibilità economica e tecnologica di superare i limiti del peer review tradizionale, pubblicando tutto in rete e valutando successivamente la qualità dei contributi – come consiglia Peter Suber e come ha fatto qui Francesca Di Donato.

Ma vediamo se in questo momento, in Italia, la lista iniziale ERIH si concilia con l’accesso aperto. Ecco le riviste italiane meritevoli di un qualche grado di eccellenza, secondo la lista ERIH, nel settore che conosco meglio, la filosofia:

Tutte queste riviste, con l’eccezione delle due edite da Tilgher, almeno parzialmente aperte, sono ad accesso chiuso. Talvolta sono addirittura prive di un proprio sito web, talvolta le loro home page si limitano a riportare gli indici e le istruzioni per abbonarsi, talvolta, infine, gli articoli sono rinchiusi entro barriere proprietarie che rendono assai difficile l’indicizzazione e l’interoperabilità – cioè, in concreto, rendono assai difficile trovare i testi in rete (*). Nessuna, infine, sembra conforme al protocollo OAI-PMH.

La lista è ancora allo stato iniziale e può essere integrata. Al momento, tuttavia, sembra ignorare sistematicamente le riviste on-line, anche quando sono ormai consolidate e accademicamente riconosciute, e sebbene abbiano di solito una quantità di lettori infinitamente maggiore rispetto alle riviste cartacee. Per fare solo un esempio fuori disciplina, Reti medievali, di cui è noto il lavoro esemplare e pionieristico, risulta esclusa dal catalogo delle riviste storiche.

Insomma: la lista ERIH scoraggia non solo la pubblicazione ad accesso aperto, ma l’uso stesso della rete. Se non interverrà un cambiamento, chi volesse fare carriera e ottenere finanziamenti dovrebbe condannarsi all’irrilevanza nascondendo i suoi testi in riviste che o non stanno in rete, o ci stanno molto male.

(*) Sono grata a chi mi segnalerà eventuali errori e omissioni, soprattutto per quanto concerne i siti web delle riviste

23 settembre, 2007

Il professore va al congresso: note su Berlin5

Ho partecipato a questa bellissima conferenza – la quinta nel programma di attuazione della dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura scientifica. I contributi, quasi tutti visibili on-line, sono stati tutti molto interessanti: per esempio il giurista e magistrato Giuseppe Corasaniti ha mostrato che – contrariamente a quanto si crede – la normativa internazionale ed europea vigente lascerebbe al legislatore italiano amplissimi spazi di libertà per costruire un diritto d’autore meno rigido – se solo ci fosse la volontà di agire nell’interesse dei cittadini e non in quello delle lobby.

La sessione Open Access in the Humanities and Social Sciences era presieduta da Jean Kempf, il quale ha ricordato che le cosiddette scienze umane sono molto indietro sulla via della pubblicazione ad accesso aperto per un diverso stile di ricerca: la stampa, specie per le fonti primarie, è ancora importante; non si avverte l’esigenza di diffondere rapidamente i risultati – e anzi sarebbe auspicabile una ancora maggior ponderazione -; le comunità di ricerca sono molto frammentate e suddivise per lingua e nazionalità; si ha ancora l’abitudine di lavorare individualmente e non in gruppi. E’, tuttavia, bizzarro che delle discipline che avrebbero – assai più della fisica delle alte energie – la potenzialità di parlare alla città, cioè di raggiungere un pubblico amplissimo e di trattare questioni interessanti per tutti, non si preoccupino di rendersi accessibili. Eppure – si può aggiungere – una simile questione interesserebbe assai di più agli umanisti che alla città. Se noi ci teniamo il bavaglio dell’accesso chiuso e ci rinserriamo nell’oligarchia accademica, per troppo umani timori, il vuoto che noi lasciamo verrà riempito – giustamente – da qualcun altro. E’ inutile storcere il naso: come è stato ripetuto più volte alla conferenza, chi non si rende pubblico in rete è condannato all’irrilevanza. Loriano Bonora, fisico della Sissa, ha detto che anche le scienze “dure”, negli anni ’70 del secolo scorso, erano affette da degenerazioni oligarchiche: sono state letteralmente salvate dalla rete – perché hanno saputo farsi salvare.

Secondo Frederick Friend, il modo di pubblicare degli umanisti si sta avvicinando lentamente a quello degli scienziati, sia per la pressione dovuta alla valutazione della ricerca, sia alla riduzione dei finanziamenti: si tende a pubblicare più articoli che monografie – cioè, in generale, a suddividere i propri testi in pezzetti più piccoli. Queste tendenze – perfino in un ambiente conservatore – possono favorire l’accesso aperto, per esempio rendendo facile la stampa selettiva di monografie depositate capitolo per capitolo negli archivi elettronici, sulla base delle loro statistiche di download; oppure mostrando immediatamente al contribuente che il denaro pubblico è ben speso.

Sigi Jottkandt ha presentato questa conferenza, nella quale spiega che le riviste on-line umanistiche sono solitamente di scarsa qualità informatica e di scarso prestigio, a causa di una resistenza ancora notevole nei confronti della rete e dei finanziamenti scarsi. Da qui nasce il progetto di una Open Humanities Press, con un comitato scientifico di tutto rispetto, allo scopo di indurre gli umanisti a superare la loro diffidenza.

Per Gary Hall, infine, il futuro vede qualcosa di più di un semplice trasferimento in rete delle riviste, delle monografie e di tutti i loro rituali. Il libro, che nel corso dell’età moderna aveva acquistato una forma stabile, sta diventando di nuovo instabile – così come sta avvenendo alla figura dell’autore – proprio per l’influenza della rete e delle sue diverse modalità di comunicazione. Le discipline umanistiche che ne diventassero consapevoli potrebbero fare molto per l’accesso aperto.

Al momento, la valutazione della ricerca lascia completamente fuori i grandi connettori e catalizzatori di comunità di conoscenza, il cui lavoro ora sarebbe apprezzabile proprio in virtù della rete, così che un qualsiasi studioso mediocre con la sua brava monografia potrebbe tranquillamente sconfiggere un Socrate. Ma nulla ci obbliga a tenere in vita i nostri pregiudizi.

… Bisogna dunque guardarsi bene dal giudicare le società nascenti con idee attinte da quelle che non sono più.

Charles Alexis De Tocqueville