Autori d’Europa

 

aaa-1.pngMarco Calamari ha spiegato su “Punto Informatico” che cosa  avrebbe fatto se fosse stato eletto in Europa, elencando una serie di punti importanti e rinviando al programma comune europeo del Partito Pirata, anch’esso esposto per punti. È possibile metterli insieme in un’immagine leggibile? Ci provo.

La rivoluzione digitale, rendendoci tutti scrilettori,  ha trasformato il diritto d’autore in una questione d’interesse comune.

Il diritto d’autore si chiama così perché nasce come diritto di chi scrive e  non come diritto dell’editore o della piattaforma. Sono un autore se, parlando in pubblico, posso decidere che cosa dire, quando dirlo, come e sulla base di che dirlo. Se invece non ho il controllo di quanto scrivo, perché se lìè preso l’editore o perché sono trattato come un fascio di nozioni per l’uso, al di sotto della mia consapevolezza, dei signori della manipolazione, non sono più un autore e neppure una persona: sono un dato, che viene fatto parlare e danzare entro progetti il cui disegno e il cui senso non è costruito da me.

Il diritto d’autore e il diritto alla privacy sono due facce della stessa medaglia.  L’esclusiva della sfruttamento economico, che conferisce al diritto d’autore un effetto censorio, è secondaria: possiamo infatti  immaginare forme di remunerazione sociale dell’autore diverse dal monopolio politicamente conferito.  Il diritto d’autore, vocato alla pubblicazione e il diritto alla privacy, vocato alla riservatezza, confluiscono nel mio diritto  a parlare in pubblico con la mia voce –  che può realizzarsi pienamente solo se le mie fonti sono prevalentemente dissequestrate del copyright editoriale, vestigia dell’età della stampa.

Questo diritto, preso sul serio, implica l’elezione diretta di un’assemblea costituente europea, che scriva una costituzione comune e che la sottoponga a referendum – una  costituzione che preveda referendum legislativi e costituzionali e strumenti per far parlare, in modo trasparente, il potere legislativo con i cittadini. L’Europa può essere dei cittadini, solo se i cittadini sono i suoi autori.

Quanto si dice per l’Europa, vale a maggior ragione per l’Italia, per la quale è sempre più urgente dissequestrare la ricerca e l’istruzione dal controllo di Big Business e Big Government, perché i cittadini possano diventare autori, e non followers, dalla propria politica, autori, e non consumatori, dell’ambiente che attorno a loro viene sfruttato e devastato, autori, e non vittime, dal loro lavoro e del loro tempo libero.

In questo momento noi non siamo autori dell’Europa: siamo dati che vengono fatti parlare o tacere al servizio e nell’interesse dell’economia e delle sue concentrazioni, ed entro raggruppamenti – gli autoctoni, i migranti, i greci o i tedeschi – predisposti e messi l’uno contro l’altro da classificatori per i quali siamo dati e non siamo persone.  Siamo ancora – o di nuovo – nell’età del privilegio, dalla quale dobbiamo ancora – o di nuovo – uscire con il diritto dell’autore, che poi è il diritto di ciascuno a essere non in primo luogo oggetto d’economia, materiale e no, ma soggetto di politica.