Essendo donna di poca sostanza e di molte idee, ho frequentato gli ambienti culturali più svariati,
Ho conosciuto la destra accademica liberista, ideologica e greve, anche se i professori che ne sono parte non sono certo nati armati dal Libero Mercato, ma hanno costruito la carriera propria e preteso di costruire le altrui come tutti. Per questo il loro astratto amore per il Libero Mercato si è potuto sposare senza impedimenti con la sottomissione agli interessi di un monopolista.
Ho frequentato, da intellettuale marginale e disorganica, anche la sinistra che una volta veniva detta radicale, a causa delle mie convinzioni sul diritto d’autore, immaginando un comunismo della conoscenza o dei mezzi di produzione immateriali.
Ma la sinistra che ho conosciuto amava parlare fra sé. Finché si sta fra professori questo è un difetto solo in un senso limitato, anche perché non sappiamo – né dobbiamo – far altro. La forza di un discorso teorico – almeno dove l’uso pubblico della ragione è libero – si misura sulla sua capacità di affermarsi senza dover cercare appoggi politici. Di professori che nascono – e rimangono – funzionarietti e funzionariette di partito ce ne sono fin troppi.
Questo gusto esclusivo per le parole – per parole inutilmente gergali come “post-fordismo”, “globalizzazione” o “cognitariato” – impressiona però quando si ritrova in un politico. Un politico deve, soprattutto, fare. E’ pagato per questo.
So bene quanto questo sia difficile, in un paese di oligarchie e corporazioni. Ma difficile non vuol dire impossibile. Si sarebbe potuto fare un po’ di più, almeno nel campo che conosco meglio. Invece, quando andavo a Roma, avevo spesso l’impressione di essere io il politico e loro i professori. Come se molti di loro vivessero in un mondo magico in cui non ci fosse differenza fra le cose dette e le cose fatte. Composti ormai della vaga sostanza dei sogni, è stato facile farli sparire, per chi controlla i sogni dei più.
(continua)