Il primo convegno annuale dell’Aisa onlus -la nuova associazione italiana per la promozione della scienza aperta – si farà a Pisa il 22 e il 23 ottobre 2015. Il suo programma è qui. Passate a dare un’occhiata se capitate nei paraggi: sono fatti nostri.
È nata l’Associazione italiana per la promozione della scienza aperta
Vi piace l’accesso aperto? Vi dispiace che sia così difficile, in Italia, andare oltre le dichiarazioni di principio? Se desiderate fare di più, se volete che sia fatto di più, potete unirvi all’Aisa onlus.
Il sito dell’Aisa si trova qui. Anche se non s’intende associarsi, le sue pagine meritano una visita, per esempio per leggere – qui – le discipline e i regolamenti per l’accesso aperto in vigore nell’università italiana.
VQR: per gli occhi di nessuno
Poco più di un anno fa, criticando l’avventurosa segretezza della valutazione della ricerca italiana, avevo reso pubblico l’elenco delle tre opere – tutte ad accesso aperto – che avevano varcato l’oscura soglia dell’Anvur.
Vi piacerebbe sapere come sono state valutate?
Dovrete tenervi la curiosità: non lo so neppure io. I dati aggregati del mio settore, entro il mio dipartimento, non sono stati resi pubblici “per privacy“: siamo così pochi che le nostre valutazioni individuali sarebbero indovinabili. Per lo stesso motivo non siamo inseriti in classifica – anche se, dopo aver fatto un po’ di conti sulle tabelle dell’Anvur, sono “quasi” in grado di dire quali colleghi pisani hanno uno o più lavori marchiati come “limitati”.
Il punto, però, è un altro: che senso ha una valutazione della ricerca non solo condotta da funzionari nominati direttamente o indirettamente dal governo, ma sottratta all’uso pubblico della ragione perfino nei suoi risultati? Le classifiche anvuriane, senza i responsi dei referee e mutilate “per privacy“, indicano davvero qualcosa di significativo? E inoltre, in un mondo che ha già mostrato di non essere immune al conflitto d’interessi, come facciamo a escludere che, nel sancta sanctorum dell’Anvur, qualcuno abbia ceduto alla tentazione di cantarsele e suonarsele?
La pubblicità avrebbe aiutato sia a controllare il conflitto d’interessi, sia a stemperare l’autoritarismo dell’intera procedura. Ma si è preferito fare in modo che la valutazione della ricerca scientifica non sia per nulla scientifica, neppure quando, come nel mio caso, i ricercatori temono molto più le segrete dell’Anvur che l’uso pubblico della ragione. Compulsiamo dunque le nostre graduatorie, e godiamoci l’imbuto.
Aggiornamento
Pare che a partire dal 20 settembre l’esito di tanta valutazione sulle singole opere verrà comunicato, ma esclusivamente agli autori. Se mi sarà lecito rendere pubblici i miei giudizi – dovrebbe esserlo, se è solo una questione di privacy -, lo farò, anche e soprattutto se dovessero essere negativi. Le mie pubblicazioni recenti sono tutte ad accesso aperto: potrebbe dunque essere utile e interessante gettare, per il poco che posso, uno spiraglietto di luce nelle catacombe dell’Anvur.
Una questione di sapere, una questione di potere
Noi chiamiamo le digital humanities col nome di “informatica umanistica”. Un bibliotecario americano ha però suggerito di pensarle come una parte di un insieme più ampio, le “scienze umane aperte”. Ne parlo qui.