Lunedì i presidi delle facoltà di scienze sociali pisane ci hanno spiegato la riforma della riforma degli ordinamenti didattici. Un orientamento, hanno detto, non è cambiata: la laurea triennale deve essere facile, perché i laureati devono essere molti. Che cosa poi vadano a fare, con la formazione che ci impediscono di dar loro, è questione che sembra non interessare a nessuno. Invece il biennio successivo deve essere difficile: viene chiesto ad una medesima istituzione e alle stesse persone di essere lassiste per tre anni, per poi fare la faccia feroce, per indurre gli studenti a cominciare a studiare sul serio.
Per evitare la dequalificazione dell’istruzione universitaria – è stato anche detto – bisognerà cominciare pensare a dei test d’ingresso, per tutte le facoltà.
Il giorno dopo ho letto dei casi di corruzione per i test d’ingresso alla facoltà di medicina italiane. I test sono una prova decisiva per la vita, concentrata in un arco di tempo ristretto Dunque molto facili da vendere e molto facili da comprare.
Prima della riforma Berlinguer-Moratti, nelle facoltà esisteva il cosiddetto biennio, nel quale erano concentrati gli esami “grossi”. Tutti potevano entrare. Il biennio, però, era una prova severa. E non era un test “o la va o la spacca”, ma un impegno che doveva essere continuato e costante nel tempo. Lo studente doveva fare i conti con i suoi limiti, e colmare le lacune della sua formazione precedente. Se non ci riusciva, abbandonava spontaneamente gli studi: ma gli era stata data, lealmente, una possibilità. Oltre tutto, come insegna il tribunale di Atene, è molto più facile comprarsi un singolo test che tutti gli esami di un biennio.
Oggi capita che studenti fantasticamente ignoranti vengano a fare gli esami, e si laureino pure. Senza saper scrivere una lettera e senza saper fare un ragionamento autonomo, con infarinature di questo e di quello destinate ad essere rapidamente dimenticate. E, soprattutto, senza aver imparato a studiare e senza essere in grado di sostenere un contraddittorio.
L’università deve essere difficile. Gli esami devono farti assaggiare la carne dell’orso.
E’ demagogico e insipiente pretendere che sia l’università a dare un addestramento professionale. L’università non deve formare gli schiavi dei call center. L’università deve insegnare a studiare e a ragionare, se non l’hanno fatto i gradi di istruzione precedenti, in modo tale che non ci si smarrisca di fronte a situazioni e problemi nuovi. In modo tale che ci si sappia ribellare.
Sempre più spesso, agli esami, mi trovo davanti a adolescenti immaturi, che scoppiano a piangere all’obiezione più piccola. Loro pensano – lo so – che io sono “cattiva”. Ma chi li ha traditi, sottraendo loro la gioia delle cose belle e difficili, è molto peggiore di me.