Apaideusia

Non ti pare brutto e grave segno di incultura (apaideusìa) l’essere necessitati a servirsi di un giusto importato da altri, come padroni e giudici, per insufficienza del proprio? (Platone, Repubblica, 405b)

Quando Platone, nel terzo libro della Repubblica, metteva in bocca al suo Socrate queste parole, stava facendo una critica culturale e politica alla democrazia diretta del suo tempo, che era, come la sua repubblica, una comunità totale – cioè etica, religiosa, scientifica e politica. Ma una comunità totale che debba continuamente ricorrere a leggi minuziose e giudici, perché i suoi cittadini non sono altrimenti in grado di capire che cosa è giusto o no, è un organismo fragile e dispotico. Platone, antidemocratico, è in questo d’accordo col democratico Pericle: la democrazia ha bisogno di paideia – di cultura nel senso forte del termine.
In una democrazia indiretta, in una comunità parziale ove il potere è concentrato e non diffuso, occorrerebbero invece giudici autonomi e leggi chiare – oltre che la cultura per rispettarle. Ma la critica di Platone rimane appropriatissima per la repubblica della scienza: non è un grave segno di incultura, nella comunità del dialogo impossibile, dover ricorrere, per giudicare la nostra ricerca, a comitati di valutazione e a liste di eccellenza perché non abbiamo più la capacità di farlo da noi, magari usando gli strumenti del web?